bellezza

 

***E’ difficile esprimere la bellezza esaltante del fatto che in un periodo di profonda sofferenza Van Gogh sia stato capace di percepire e rappresentare uno dei concetti più difficili che la natura abbia offerto all’uomo***

 

Sorrido estasiata davanti alla bellezza che questo video mi mostra. Mi spiega, se ce ne fosse ancora bisogno, come l’arte davvero rappresenti il mondo. Come ci siano volte in cui ci riesca meglio della matematica. E’ chiaro che la curiosità dell’uomo è la stessa, sempre. La voglia di guardare, osservare, capire, toccare, prendere, carpire un mistero. La domanda è la stessa. E in fondo, la risposta sincera, vera, non può che essere di nuovo la stessa…

_equilibrium_

Ci sono litigate di sfogo, che fanno esplodere una bomba e creano lo spazio vuoto giusto per poter ricominciare, nel bene e nel male.

E ci sono litigate inutili, come una palla che rimbalza contro il muro, fa rumore, perde forza tornando indietro, e te la trovi in mano esattamente come prima. E come prima non sai che fare.

Io preferisco le bombe, giusto per capirci. Preferirei sparire, andarmene, fare altro.

 

Jeff Koons, One Ball Total Equilibrium Tank
Jeff Koons, One Ball Total Equilibrium Tank (Spalding Dr. J 241 Series), 1985
glass, steel, sodium chloride reagent, distilled water, one basketball 64 3/4 x 30 3/4 x 13 1/4 inches 164.5 x 78.1 x 33.7 cm

 

 

Marino e lo sciacallaggio autorizzato

Dalle mie parti piove. Sono giorni intensi in cui le persone che vivono a ridosso di fiumi, torrenti e lago si adoperano in ogni modo per evitare e scongiurare danni alle cose.
I sindaci si preoccupano e organizzano turni notturni per valutare il livello dei fiumi e organizzare soccorsi.
Tutto sommato, devo dire che è una grande fortuna essere impegnati così da vicino nella salvaguardia del territorio: impedisce di sparare cazzate a non finire, come invece sembra fare (da tempo, in effetti) il sindaco di Roma. Tralasciando le stupidate precedenti (che sono portate alla luce da persone più competenti di me), mi soffermo su quanto scritto sul suo blog pochi giorni fa.

L’idea è geniale. Si chiama “I tesori nascosti di Roma”, come se fosse l’ultimo film di Indiana Jones, e pertanto è chiaramente scritto in inglese. (come dargli torto. Una cosa tipo Monumenta Romae sa di muffa, di archeologico, mica di avventuroso stile Indiana Jones o Relic Hunter).

Consiste nel prendere i reperti archeologici “inediti” dalla città di Roma, mandarli in America dove studiosi delle “più prestigiose” università faranno importanti “programmi di ricerca e di analisi“, li classificheranno e catalogheranno, per poi permettere a Roma stessa di “averli indietro con un valore culturale” (giuro. C’è scritto così) e inserirli in progetti espositivi. Il tutto in poco tempo, non nei “decenni” che ci metterebbe Roma a fare un lavoro del genere da sola, e soprattutto, “a costo zero”. Poi, ci sono “strumenti tecnologici all’avanguardia” negli atenei americani, che permetteranno di fare un’enorme banca dati dove tenere traccia di questi reperti.
No dai, geniale! Roma si smantella pezzo pezzo, la mandiamo in America, ce la ripuliscono, ci attaccano un’etichettina con un codice identificativo secondo gli standard angloamericani, ce la mandano indietro con questo valore culturale aggiunto che prima non aveva, e noi finalmente possiamo fare dei progetti culturali degni di nota. Il tutto gratis!!

Cavolo, com’è che ancora non ci aveva pensato nessuno?! Meno male che c’è Marino e c’è Enel!

….

Cioè, lui ci crede. C’è gente che ci crede. Io mi preoccupo per le persone. Io un concentrato di cazzate in così poche righe raramente lo leggo!! Qui non si tratta di idee politiche, di filosofie culturali, di cazzate opinabili: qui è la base del buon senso!!!

Il punto comunque è tutto in quel costo zero. E’ quel costo zero che mi fa girare le scatole.

Costo zero. Tutto costo zero. La cultura qui o è costo zero o non è. Essere=costare. Non costare=non essere. Soldi per la cultura non ce n’è, quindi Cultura=non essere. Facile.
In tutti i campi è naturale pagare le persone per il proprio lavoro. Nella cultura no. Meglio. Nella cultura umanistica, in particolare nell’arte, no. Sembra vergognoso pagare degli archeologi che fanno il loro mestiere. O degli storici dell’arte. Sia mai.
Preferiamo buttare via i soldi per rovinare delle opere per impacchettarle e spedirle chissà come chissà dove, ma non pagare quattro giovani laureati in archeologia.
I quali non sono gli scemi del villaggio. Non viviamo con le scimmie. Hanno imparato dai maestri migliori, hanno studiato sui libri che il mondo ci invidia, e che, con tutto il rispetto dei colleghi americani, si sono fatti il culo a studiare greco e latino, e storia, e arte, e pure letteratura, e qualsiasi cosa possa entrarci con la cultura classica. E ripeto. con tutto il rispetto… a me viene spontaneo pensare che per quanto sia prestigioso il laureato americano, non saprà mai latino, non capirà mai fino in fondo la cultura classica come può farlo un laureato italiano. Non perché sia scemo, o studi poco… ma perché la cultura classica è la nostra cultura. E’ alla base del nostro modo di pensare e di parlare. E non perché l’italiano deriva dal latino, parola per parola. Perché TUTTO deriva dal latino. La religione, il diritto, la storia, la lingua, l’arte, la filosofia, la politica (La politica, cari miei). Il nostro modo di guardare il cielo. Il mio cielo è lo stesso che guardava di Virgilio. E questo FA la differenza. Alla faccia di tutti quelli che dicono che il latino non serve a nulla. O peggio, alla faccia di tutti quelli che difendono il latino perché “aiuta a ragionare”. Non è vero. Non aiuta a ragionare più di quanto non lo faccia la matematica. Ma il latino è la nostra storia. Che ci piaccia o no. E’ nelle nostre viscere, e da lì arriva diritto nel nostro presente.

E la cosa migliore che sappiamo fare noi è disfarcene. Non solo culturalmente, non studiando più, ma ora anche fisicamente, mandando le nostre cose in un altro continente. Dove verranno studiate da gente (che si è più intelligente di noi) che sarà venuta a formarsi proprio in Italia, per studiare archeologia.

E’ davvero umiliante vedere come ci trattiamo. Come ci sviliamo in nome di non si sa bene che cosa. Come siamo disposti a venderci, a prostituire la nostra storia, per ottenere un po’ di visibilità e quattro soldi.

 

 

Mi sono dilungata, il nervoso mi ha preso. Nel prossimo post commento la stupidata del blog di Marino passo passo.. Non serve a nessuno, ma io devo sfogarmi.

 

…c’è bellezza…. (nelle rovine, nella fatica, nell’uomo)

L’idea che una scena di battaglia cruenta possa essere bella – nel registro sublime, terrificante o tragico della bellezza – è un luogo comune, se riferita alle immagini di guerra create dagli artisti.
Ma questa idea non si addice alle immagini prodotte dalle macchine fotografiche: sembra crudele scoprire la bellezza nelle foto di guerra. Eppure, un paesaggio di devastazione resta pur sempre un paesaggio. C’è bellezza nelle rovine. Ma riconoscere la bellezza nelle fotografie delle rovine del World Trade Center nei mesi successivi all’attentato sembrava frivolo, sacrilego. Tutt’al più ci si arrischiava a dire che quelle foto sembravano “surreali”, ricorrendo a un affannoso eufemismo dietro il quale trovava riparo la screditata idea della bellezza. Molte di esse, però, erano davvero belle – ad esempio, quelle realizzate da veterani come Gilles Peress, Susan Meiselas e Joel Meyerowitz. Il luogo in sé, il cimitero di massa battezzato “Ground Zero” era ovviamente tutt’altro che bello. Le fotografia tendono a trasformare, quale che sia il loro soggetto; e sotto forma di immagine una cosa può apparire bella – o terrificante, insopportabile o tollerabile – come non è nella vita reale.
L’arte trasforma per definizione, ma le fotografie che documentano eventi disastrosi e deprecabili vengono aspramente criticate se appaiono “estetiche”; vale a dire, troppo simile all’arte. Il duplice potere che ha la fotografia – di produrre documenti e di creare opere d’arte – ha dato origine a una serie di affermazioni estremistiche su ciò che i fotografi dovrebbero o non dovrebbero fare. Negli ultimi tempi, la più diffusa è quella che contrappone questi suoi due poteri. Le fotografie che raffigurano la sofferenza non dovrebbero essere belle, così come le didascalie non dovrebbero essere moraleggianti. In quest’ottica, infatti, una bella fotografia sposta l’attenzione dalla gravità del soggetto rappresentato al medium in sé, compromettendo così il carattere documentario dell’immagine. Una fotografia del genere invia segnali contraddittori. “Fermate tutto ciò” ingunge. Ma al tempo stesso esclama: “Che spettacolo!”.

Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri, Mondadori, Milano 2003, p. 75.

…. esse est percepi ….

Oggi è un leitmotiv diffuso che basti un po’ di materia scioccante per fare un’opera d’arte contemporanea. Ma il vero Reale del dispositivo video (…), il vero trauma è il fatto che al di là dello schermo non c’è nulla, il fatto che l’Altro non ci vede, che il trauma è lo schermo stesso, o meglio la sua natura di “mediatore” (come dice Lacan).
(…)
La centralità del modello panottico deve la sua forza simbolica all’idea di uno “sguardo che tutto vede senza essere visto”. Ma un simile sguardo non sarebbe esattamente lo sguardo dell’Altro?

Giustamente, Žižek nota come oggi forse è più valido il tragicomico rovesciamento della situazione benthamiana, per cui la paranoia viene determinata non dalla sensazione di essere sempre controllati, ma inversamente dalla paura di non essere visti, di non essere “sullo schermo”…”Il soggetto ha infatti bisogno dello sguardo della telecamera che funge da garante ontologico del suo essere”.

 

Marco Senaldi, Doppio sguardo: cinema e arte contemporanea, Bompiani 2008.

Critica

Certi saggi di critica d’arte che cercano di spiegare l’impossibile sono un po’ ridicoli.
Con tutto il rispetto per i critici… Troppe chiacchiere intorno a un’opera dimostrano o che l’opera non è stata proprio capita (e stan cercando un modo per autoconvincersi del contrario) o che l’opera non vale una cippa.

Perché se è arte arriva al cuore. O alla pancia, eventualmente. O certa arte provocatoria anche al fegato.
Comunque sia, per dire questo bastano due righe.