Silenzio

Oggi è la giornata degli strani silenzi.

Uno vuoto, senza parole, curioso, in attesa, preoccupato, forse ferito.
Uno pieno, curioso, vorticoso, che vorrebbe urlare ma tace, triste, ma forse fiducioso.

Parli e ascolti.
E in mezzo c’è sempre spazio per stare in silenzio.

Via Francigena. Un cammino fatto di parole (3)

(13)Silenzio.

Altri.

Scoprire di riuscire a stare in silenzio e basta. Portare in questo silenzio e lungo la via tutti gli altri. Sembra incredibile, ma se stai in silenzio, stai in ascolto. E allora ogni angolo, ogni incontro, ha qualcosa che ti porta inevitabilmente a un altro che magari hai lasciato a casa.

Riesco a intuire cosa si intende quando si dice che nel silenzio e nella preghiera si riesce ad essere più vicini a tutti. Perché non sei vicina a FARE qualcosa, ma sei vicina alle loro STORIE, che ti toccano nel profondo.

E ogni giorno c’è una storia diversa. Anche delle persone a cui abitualmente non penso. Ogni cosa ha una storia e un volto. Una chiesetta, una bici, un fiore, un paese…

 

Perdersi.

Abbiamo sbagliato strada. Abbiamo seguito (e guidato) altre persone, e nella confusione abbiamo sbagliato.

Eppure questo ha portato un sacco di cose. Se riesci a non arrabbiarti e a non scoraggiarti… scopri la condivisione.
Condivisione delle fatiche, per prima cosa. Perché non sbagli da sola.
Poi condivisione del cammino. Perché se non fossimo stati con gli altri…. Saremmo state da sole (che sembra ovvio, ma dopo giorni in cui si cammina da soli anche le ovvietà diventano importanti).

E poi, trovare insieme la soluzione. Questo è il bello. Sbagli, e paghi caro il tuo errore, con i chilometri sotto i piedi e il caldo sopra la testa. Ma è bello scoprire che insieme si prova a trovare la strada giusta e a porre rimedio; da soli ci si scoraggia.

 

Silenzi

Silenzio imbarazzato.

Silenzio di chi non approva.

Silenzio di chi non ha niente da dire.

Silenzio di chi non conosce.

Silenzio di chi ha il cuore colmo.

Silenzio che custodisce.

Silenzio che non pesa.

Silenzio che libera.

Parole-parole

 

Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento

S. Quasimodo

 

C’è un gran cicaleccio in giro su quella che è la situazione politica in Italia. Situazione politica o quel che ne rimane, insomma.

Eppure mi sento completamente svuotata, come se le parole stesse, che tanta importanza hanno avuto nella democrazia da due millenni e mezzo a questa parte, si sentissero stanche di essere proclamate. Potrei essere anche io, più semplicemente, quella stanca di ascoltarle.

E’ che ci sono parole e Parole.

Le “parole” con la p minuscola servono a riempire i discorsi da salotto, volteggiano con una rapidità tale da non farsi acchiappare, lasciando dietro di sé vuoto e – di conseguenza –  assoluto bisogno di ubriacarsi ancora, e poi ancora, e poi ancora una volta di vani discorsi.

Non esiste il silenzio tra queste, perché sarebbe carico di attese, di aspettative, di imbarazzo. Se non stiamo dicendo nulla, come potremmo sopportare il peso del silenzio?

Le “Parole” con la p maiuscola, invece, sono come delle piccole api: svolazzano sopra la testa e ronzano, minacciano addirittura. Sono insistenti, sanno dirti cose davvero scomode, ma possono affascinarti con il loro lavoro e con il loro colore. Sono quelle parole che non vorresti sentire, quei fulmini a ciel sereno che toccano per davvero la tua vita, che miracolosamente agiscono, prima ancora che parlare.

Queste parole, poi, sanno stare zitte. Stanno in silenzio e aspettano. Aspettano che tu sia pronto a riceverle, che il messaggio che veicolano penetri profondamente, perché sanno (certo, le parole “sanno”. Come potrebbe essere altrimenti? E’ tramite le parole che comunichiamo i significati) quanto è importante accogliere una parola alla volta, così come si accolgono le persone, così come si accettano i doni.

E il silenzio tra una parola e l’altra non è imbarazzato. E’ carico di una musica dolce che risuona, di un’eco che trascina con sé parole e ricordo.

Sono queste le parole che voglio ascoltare, sono queste le parole che voglio pronunciare. Parole che parlano alla vita, non della vita.

Perciò, per un po’… buon silenzio.

1613


Ieri ho trovato dei libri antichi. Non li stavo cercando, mi ci sono imbattuta per caso.

Stavo facendo un controllo tra gli scaffali, quando ho trovato un volume fuori posto. Non troppo grosso, con una rilegatura vecchiotta, spessa e consunta.
L’ho preso in mano, convinta che potesse essere un libro dell’Ottocento, con cautela l’ho aperto, e ho subito riconosciuto che era molto più vecchio. La coperta era rigidissima, scura, all’interno c’era l’ex-libris del proprietario del libro.
Le pagine erano di carta leggerissima, ingiallita, morbida. Ovviamente era in latino, sul frontespizio c’era la data in caratteri romani, ma qualcuno a matita l’aveva traslitterata in cifre arabe: 1613. L’inchiostro della stampa era leggermente sbiadito, così la parte scritta aveva un omogeneo fondo più scuro rispetto alla carta. C’erano delle illustrazioni: strumenti musicali antichi.
Lo fissavo sbigottita. Non aveva profumo di libro, sembrava morto, o forse a riposo da secoli; certo, negli ultimi decenni è stato maneggiato, perché c’era un timbro della biblioteca e la data, ma quelle sono semplici operazioni di un bibliotecario… Quel libro era lì, chiuso chissà da quanto, aveva le parole chiuse una sull’altra, chissà se è mai stato un libro consultato, chissà chi lo ha letto, per quale motivo… in quali borse è finito, quante cose ha vissuto!
Io l’ho recuperato nel silenzio di uno studio, ma quel libro probabilmente ha avuto una storia… che noi mai conosceremo. Resta attaccato a quelle pagine il mistero di un passato, di tante vite e di tanti volti diversi dai nostri, resta nelle annotazioni a margine, nelle pagine più rovinate, nelle parole scritte in chiara grammatica (come direbbe Dante) per essere lette da qualche studioso.
Tutto questo mi affascina e mi intimorisce, fra quattro secoli cosa resterà di noi? Forse lo stesso silenzio carico di storia?