Terrasanta

Fare ordine, fare memoria.
Dopo ogni viaggio è bello fermarsi a mettere al posto giusto sentimenti ed emozioni, luoghi visti e parole ascoltate.
Dopo un viaggio in Terra Santa non è solo bello, è necessario. Serve.
Serve mettere ordine nella confusione e nella contraddizione che questa Terra ha suscitato. E’ stato come fare un viaggio nel tempo: siamo stati contemporanei di Gesù, Maria, Pietro, ma anche di Davide, Salomone, Mosè… Il tempo si è come schiacciato su questa “storia della salvezza”, espressione meccanicamente ripetuta nelle ore di catechismo… ma salvezza di chi? Salvare… eppure abbiamo visitato uno stato in guerra. Una rumorosa guerra per il possesso del territorio. Sono numerose le armi che si possono usare in guerra: l’umiliazione di assurdi interrogatori, lo sfinimento di check point che decidono della tua libertà di movimento, l’indifferenza, la prepotenza, le sassate. Nel nostro piccolo, abbiamo assaporato l’amarezza di tutte queste cose.
Abbiamo visto un popolo spaccato, e anche io mi sono sentita spaccata: spaccata nelle idee politiche, spaccata nella fede: quelle che vedevo intorno a me (e non mi riferisco solo a ebrei e islamici, ma agli stessi cristiani, divisi in cattolici, ortodossi, copti, armeni…), e quella che ho provato forte dentro di me. Spaccata in me stessa: chi voglio essere? Come la voglio vivere questa fede?
Israele, la Palestina, si è rivelata una terra di contraddizioni, capace di mettere a nudo anche le tue, di contraddizioni, che chiede di prendere posizione, ma non ti dà nessun aiuto nel capire dove posizionarti, dove mettere la tua croce, dove celebrare quell’ultima cena.
E così cammini, senza sosta, in luoghi allo stesso tempo così antichi e così nuovi, così silenziosi e così di mercato.
Sai che quando rileggerai i passi del vangelo riconoscerai anche i tuoi, di passi, e allora, solo allora, forse, riuscirai a mettere ordine.
Per ora la mia certezza è che la Terra Santa è una terra che vive costantemente una ferita, ma che sa rinascere nonostante la ferita.
Resiste, urla la sua bellezza, nonostante gli uomini.
E’ una terra che ti salva, alla fine, nonostante tutto: così ti ritrovi, in questa “storia”, davvero “salvato”.

speranza

La fede che più amo, dice Dio, è la speranza.

La fede, no, non mi sorprende.
La fede non è sorprendente.
Io risplendo talmente nella mia creazione.
Nel sole e nella luna e nelle stelle.
In tutte le mie creature.
Negli astri del firmamento e nei pesci del mare.
Nell’universo delle mie creature.
Sulla faccia della terra e sulla faccia delle acque.
Nei movimenti degli astri che sono nel cielo.
Nel vento che soffia sul mare e nel vento che soffia nella valle.
Nella calma valle.
Nella quieta valle.
Nelle piante e nelle bestie e nelle bestie delle foreste.
E nell’uomo.
Mia creatura.
Nei popoli e negli uomini e nei re e nei popoli.
Nell’uomo e nella donna sua compagna.
E soprattutto nei bambini.
Mie creature.
Nello sguardo e nella voce dei bambini. Perché i bambini sono più creature mie
che gli uomini.
Non sono ancora stati disfatti dalla vita.
Della terra.
E fra tutti sono i miei servitori.
Prima di tutti.

Ora io risplendo talmente nella mia creazione.
Sulla faccia delle montagne e sulla faccia della pianura.
Nel pane e nel vino e nell’uomo che ara e nell’uomo che semina e nella mietitura e nella vendemmia.
Nella luce e nelle tenebre.
E nel cuore dell’uomo, che è ciò che di più profondo v’è nel mondo.
Creato.
Così profondo da esser impenetrabile a ogni sguardo.
Tranne che al mio sguardo.
Nella tempesta che scuote le onde e nella tempesta che scuote le foglie.
Degli alberi della foresta.
E al contrario nella quiete d’una bella serata.
Nelle sabbie del mare e nelle stelle che son sabbia nel cielo.
Nella pietra della soglia e nella pietra del focolare e nella pietra dell’altare.
Nella preghiera e nei sacramenti.
Nelle case degli uomini e nella chiesa che è la mia casa sulla terra.
Nell’aquila mia creatura che vola sui picchi.
L’aquila reale che ha almeno due metri d’apertura d’ali e fors’anche tre.
E nella formica mia creatura che striscia e che ammassa miseramente.
Nella terra.
Nella formica mio servitore.
E fin nel serpente.
Nella formica mia serva, mia infima serva, che ammassa a fatica, la parsimoniosa.
Che lavora come una disgraziata e non conosce sosta e non conosce riposo.
Se non la morte e il lungo sonno invernale.

E fin nel serpente.
Che ha ingannato la donna e che perciò striscia sul ventre.
E che è mia creatura e che è mio servitore.
il serpente che ha ingannato la donna.
Mia serva.
Che ha ingannato l’uomo mio servitore.
Io risplendo talmente nella mia creazione.
In tutto ciò che accade agli uomini e ai popoli, e ai poveri.
E anche ai ricchi.
Che non vogliono esser mie creature.
E che si mettono al riparo.
Per non esser miei servitori.
In tutto ciò che l’uomo fa e disfa in male e in bene.

Io risplendo talmente nella mia creazione.
Che per non vedermi realmente queste povere persone dovrebbero esser cieche.

 

La carità, dice Dio, non mi sorprende.
La carità, no, non è sorprendente.
Queste povere creature son così infelici che, a meno di aver un cuore di pietra, come potrebbero non aver carità le une per le altre.
Come potrebbero non aver carità per i loro fratelli.
Come potrebbero non togliersi il pane di bocca, il pane di ogni giorno, per darlo a dei bambini infelici che passano.
E da loro mio figlio ha avuto una tale carità.

Mio figlio loro fratello.
Una così grande carità.
Ma la speranza, dice Dio, la speranza, sì, che mi sorprende.
Me stesso.
Questo sì che è sorprendente.

Che questi poveri figli vedano come vanno le cose e credano che domani andrà meglio.
Che vedano come vanno le cose oggi e credano che andrà meglio domattina.
Questo sì che è sorprendente ed è certo la più grande meraviglia della nostra grazia.
Ed io stesso ne son sorpreso.
E dev’esser perché la mia grazia possiede davvero una forza incredibile.
E perché sgorga da una sorgente e come un fiume inesauribile

E quella volta, oh quella volta, da quella volta che sgorgò, come un fiume di sangue, dal fianco trafitto di mio figlio.
Quale non dev’esser la mia grazia e la forza della mia grazia perché questa piccola speranza, vacillante al soffio del peccato, tremante a tutti i venti, ansiosa al minimo soffio,
sia così invariabile, resti così fedele, così eretta, così pura; e invincibile, e immortale, e impossibile da spegnere; come questa fiammella del santuario.
Che brucia in eterno nella lampada fedele.

Una fiamma che non è raggiungibile, una fiamma che non è estinguibile dal soffio della morte.

 

Ciò che mi sorprende, dice Dio, è la speranza.
E non so darmene ragione.
Questa piccola speranza che sembra una cosina da nulla.
Questa speranza bambina.
Immortale.

Perché le mie tre virtù, dice Dio.
Le tre virtù mie creature.
Mie figlie mie fanciulle.
Sono anche loro come le altre mie creature.
Della razza degli uomini.
La Fede è una Sposa fedele.
La Carità è una Madre.
Una madre ardente, ricca di cuore.
O una sorella maggiore che è come una madre.
La Speranza è una bambina insignificante.
Che è venuta al mondo il giorno di Natale dell’anno scorso.
Che gioca ancora con il babbo Gennaio.
Con i suoi piccoli abeti in legno di Germania coperti di brina dipinta.
E con il suo bue e il suo asino in legno di Germania. Dipinti.
E con la sua mangiatoia piena di paglia che le bestie non mangiano.
Perché sono di legno.
Ma è proprio questa bambina che attraverserà i mondi.
Questa bambina insignificante.
Lei sola, portando gli altri, che attraverserà i mondi passati.

Come la stella ha guidato i tre re dal più remoto Oriente.
Verso la culla di mio figlio.
Così una fiamma tremante.
Lei sola guiderà le Virtù e i Mondi.

Una fiamma squarcerà delle tenebre eterne.

La fede va da sé. La fede cammina da sola. Per credere basta solo lasciarsi andare, basta solo guardare. Per non credere bisognerebbe violentarsi, torturarsi, tormentarsi, contrariarsi. Irrigidirsi. Prendersi a rovescio, mettersi a rovescio, andare all’inverso. La fede è tutta naturale, tutta sciolta, tutta semplice, tutta quieta. Se ne viene pacifica. E se ne va tranquilla. È una brava donna che si conosce, una brava vecchia, una brava vecchia parrocchiana, una brava donna della parrocchia, una vecchia nonna, una brava parrocchiana. Ci racconta le storie del tempo antico, che sono accadute nel tempo antico.

Per non credere, bambina mia, bisognerebbe tapparsi gli occhi e le orecchie. Per non vedere, per non credere.

 

La carità va purtroppo da sé. La carità cammina da sola. Per amare il proprio prossimo basta solo lasciarsi andare, basta solo guardare una tal miseria. Per non amare il proprio prossimo bisognerebbe violentarsi, torturarsi, tormentarsi, contrariarsi. Irrigidirsi. Farsi male. Snaturarsi, prendersi a rovescio, mettersi a rovescio. Andare all’inverso. La carità è tutta naturale, tutta fresca, tutta semplice, tutta quieta. È il primo movimento del cuore. E il primo movimento quello buono. La carità è una madre e una sorella.

Per non amare il proprio prossimo, bambina mia, bisognerebbe tapparsi gli occhi e le orecchie.
Dinanzi a tanto grido di miseria.

Ma la speranza non va da sé. La speranza non va da sola. Per sperare, bambina mia, bisogna esser molto felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia.

È la fede che è facile ed è non credere che sarebbe impossibile. È la carità che è facile ed è non amare che sarebbe impossibile. Ma è sperare che è difficile

E quel che è facile e istintivo è disperare ed è la grande tentazione.

La piccola speranza avanza fra le due sorelle maggiori e su di lei nessuno volge lo sguardo.
Sulla via della salvezza, sulla via carnale, sulla via accidentata della salvezza, sulla strada interminabile, sulla strada fra le sue due sorelle la piccola speranza.
Avanza.
Fra le due sorelle maggiori.
Quella che è sposata.
E quella che è madre.
E non si fa attenzione, il popolo cristiano non fa attenzione che alle due sorelle maggiori.
La prima e l’ultima.
Che badano alle cose più urgenti.
Al tempo presente.
All’attimo momentaneo che passa.
il popolo cristiano non vede che le due sorelle maggiori, non ha occhi che per le due sorelle maggiori.
Quella a destra e quella a sinistra.
E quasi non vede quella ch’è al centro.
La piccola, quella che va ancora a scuola.
E che cammina.
Persa fra le gonne delle sorelle.
E ama credere che sono le due grandi a portarsi dietro la piccola per mano.
Al centro.
Fra loro due.
Per farle fare questa strada accidentata della salvezza.
Ciechi che sono a non veder invece
Che è lei al centro a spinger le due sorelle maggiori.
E che senza di lei loro non sarebbero nulla.
Se non due donne avanti negli anni.
Due donne d’una certa età.
Sciupate dalla vita.

È lei, questa piccola, che spinge avanti ogni cosa.
Perché la Fede non vede se non ciò che è.
E lei, lei vede ciò che sarà.
La Carità non ama se non ciò che è.
E lei, lei ama ciò che sarà.

La Fede vede ciò che è.
Nel Tempo e nell’Eternità.
La Speranza vede ciò che sarà.
Nel tempo e per l’eternità.

Per così dire nel futuro della stessa eternità.
La Carità ama ciò che è.
Nel Tempo e nell’Eternità.
Dio e il prossimo.
Così come la Fede vede.
Dio e la creazione.
Ma la Speranza ama ciò che sarà.
Nel tempo e per l’eternità.

Per così dire nel futuro dell’eternità.

 

La Speranza vede quel che non è ancora e che sarà.
Ama quel che non è ancora e che sarà.

Nel futuro del tempo e dell’eternità.

Sul sentiero in salita, sabbioso, disagevole.
Sulla strada in salita.
Trascinata, aggrappata alle braccia delle due sorelle maggiori,
Che la tengono per mano,
La piccola speranza.
Avanza.
E in mezzo alle due sorelle maggiori sembra lasciarsi tirare.
Come una bambina che non abbia la forza di camminare.
E venga trascinata su questa strada contro la sua volontà.
Mentre è lei a far camminar le altre due.
E a trascinarle,
E a far camminare tutti quanti,
E a trascinarli.
Perché si lavora sempre solo per i bambini.

E le due grandi camminan solo per la piccola.

Charles Péguy

(da Il portico del mistero della seconda virtù)

“così che io credo…”

 

Forse non è da tutti chiedere e desiderare che la vita sia una strada in salita…

ma quanto è più bello il panorama dall’alto?

 

Ed eccomi qua
senza una meta
senza una strada
senza sapere quanto manca
e dove vado
cosa non vedo
Vale così poco questo tempo
se non capisco dove sono
e quello che sento
Ma io so che

Voglio un sogno
e voglio un senso
voglio una partita
che mi faccia dare il meglio
Che questa Vita sia la mia strada in salita
che mi possa guidare
in ciò che amo e così sia

Ed eccomi qua
ci son passato di nuovo a pelo
come l’ultimo istante in cui cadevo
ad occhi chiusi
quando chiedi e ormai non credi
che ci sarà qualcosa lì per te
Ma in fondo è in quel momento che

Voglio un sogno
e voglio un senso
voglio una partita
che mi faccia dare il meglio
Che questa Vita sia la mia strada in salita
che mi possa guidare
in ciò che amo e così sia

Di’, conosci uomini che senza aver lottato
abbiano donato un senso in più a questa Vita?
Conosci sogni degni del nome che gli hai dato
che non ti siano costati in sangue e occhi al Cielo?
Ed è così che io Credo

Voglio un sogno
e voglio un senso
voglio una partita
che mi faccia dare il meglio
Che questa Vita sia la mia strada in salita
che mi possa guidare
in ciò che amo e così sia

 

The Sun

preghiere serali

O Vergine Maria, tu che sei mia Madre,
che tanto mi ami da parte di Dio
accogli oggi il mio desiderio di consacrarmi a te.
Ti dono tutta la mia persona e la mia vita,
ti dono il mio corpo, i miei pensieri e affetti,
la mia capacità profonda di amare e di conoscere il vero.
Tutto ciò che è mio è tuo e ti appartiene.
Te lo dono per poter così appartenere totalmente a Cristo,
vita della mia vita.
Con fiducia e amore ti ripeto:
Stella del Mattino che mi porti a Gesù,
Totus Tuus.
 

ogni volta che ripeto che dono tutta la mia persona, la vita, il corpo, i pensieri, e soprattutto gli affetti e la capacità di amare mi sento tanto piccola e indifesa, e allo stesso tempo riempita di una potenza che può ogni cosa, ma che non viene da me.

so di essere un piccolo nulla se vuoto, ma grande come tutto il creato se riempita di un amore che sgorga dall’alto….

I lived

 

“per ogni giorno che sei su questa terra, per ogni minuto che hai, l’idea alla base è di non fare assolutamente niente di meno di quello che tu senti essere in grado di fare, di spremere fino all’ultima goccia di vita di ogni giorno, indipendentemente dalle difficoltà o prove che uno deve affrontare”.

scarponcini ai piedi

“Cari giovani,
 
è bello essere qui con voi in questa Veglia di preghiera. Alla fine della sua coraggiosa e commovente testimonianza, Rand ci ha chiesto qualcosa. Ci ha detto: “Vi chiedo sinceramente di pregare per il mio amato paese”. Una storia segnata dalla guerra, dal dolore, dalla perdita, che termina con una richiesta: quella della preghiera. Che cosa c’è di meglio che iniziare la nostra veglia pregando?
 
Veniamo da diverse parti del mondo, da continenti, paesi, lingue, culture, popoli differenti. Siamo “figli” di nazioni che forse stanno discutendo per vari conflitti, o addirittura sono in guerra. Altri veniamo da paesi che possono essere in “pace”, che non hanno conflitti bellici, dove molte delle cose dolorose che succedono nel mondo fanno solo parte delle notizie e della stampa. Ma siamo consapevoli di una realtà: per noi, oggi e qui, provenienti da diverse parti del mondo, il dolore, la guerra che vivono tanti giovani, non sono più una cosa anonima, non sono più una notizia della stampa, hanno un nome, un volto, una storia, una vicinanza. Oggi la guerra in Siria è il dolore e la sofferenza di tante persone, di tanti giovani come il coraggioso Rand, che sta qui in mezzo a noi e ci chiede di pregare per il suo amato paese.
 
Ci sono situazioni che possono risultarci lontane fino a quando, in qualche modo, le tocchiamo. Ci sono realtà che non comprendiamo perché le vediamo solo attraverso uno schermo (del cellulare o del computer). Ma quando prendiamo contatto con la vita, con quelle vite concrete non più mediatizzate dagli schermi, allora ci succede qualcosa di forte, sentiamo l’invito a coinvolgerci: “Basta città dimenticate”, come dice Rand; mai più deve succedere che dei fratelli siano “circondati da morte e da uccisioni” sentendo che nessuno li aiuterà. Cari amici, vi invito a pregare insieme a motivo della sofferenza di tante vittime della guerra, affinché una volta per tutte possiamo capire che niente giustifica il sangue di un fratello, che niente è più prezioso della persona che abbiamo accanto. E in questa richiesta di preghiera voglio ringraziare anche voi, Natalia e Miguel, perché anche voi avete condiviso con noi le vostre battaglie, le vostre guerre interiori. Ci avete presentato le vostre lotte, e come avete fatto per superarle. Siete segno vivo di quello che la misericordia vuole fare in noi.
 
Noi adesso non ci metteremo a gridare contro qualcuno, non ci metteremo a litigare, non vogliamo distruggere. Noi non vogliamo vincere l’odio con più odio, vincere la violenza con più violenza, vincere il terrore con più terrore. E la nostra risposta a questo mondo in guerra ha un nome: si chiama fraternità, si chiama fratellanza, si chiama comunione, si chiama famiglia. Festeggiamo il fatto che veniamo da culture diverse e ci uniamo per pregare. La nostra migliore parola, il nostro miglior discorso sia unirci in preghiera. Facciamo un momento di silenzio e preghiamo; mettiamo davanti a Dio le testimonianze di questi amici, identifichiamoci con quelli per i quali “la famiglia è un concetto inesistente, la casa solo un posto dove dormire e mangiare”, o con quelli che vivono nella paura di credere che i loro errori e peccati li abbiano tagliati fuori definitivamente. Mettiamo alla presenza del nostro Dio anche le vostre “guerre”, le lotte che ciascuno porta con sé, nel proprio cuore.
(SILENZIO)
 
Mentre pregavamo mi veniva in mente l’immagine degli Apostoli nel giorno di Pentecoste. Una scena che ci può aiutare a comprendere tutto ciò che Dio sogna di realizzare nella nostra vita, in noi e con noi. Quel giorno i discepoli stavano chiusi dentro per la paura. Si sentivano minacciati da un ambiente che li perseguitava, che li costringeva a stare in una piccola abitazione obbligandoli a rimanere fermi e paralizzati. Il timore si era impadronito di loro. In quel contesto, accadde qualcosa di spettacolare, qualcosa di grandioso. Venne lo Spirito Santo e delle lingue come di fuoco si posarono su ciascuno di essi, spingendoli a un’avventura che mai avrebbero sognato.
 
Abbiamo ascoltato tre testimonianze; abbiamo toccato, con i nostri cuori, le loro storie, le loro vite. Abbiamo visto come loro, al pari dei discepoli, hanno vissuto momenti simili, hanno passato momenti in cui sono stati pieni di paura, in cui sembrava che tutto crollasse. La paura e l’angoscia che nascono dal sapere che uscendo di casa uno può non rivedere più i suoi cari, la paura di non sentirsi apprezzato e amato, la paura di non avere altre opportunità. Loro hanno condiviso con noi la stessa esperienza che fecero i discepoli, hanno sperimentato la paura che porta in un unico posto: alla chiusura. E quando la paura si rintana nella chiusura, va sempre in compagnia di sua “sorella gemella”, la paralisi; sentirci paralizzati. Sentire che in questo mondo, nelle nostre città, nelle nostre comunità, non c’è più spazio per crescere, per sognare, per creare, per guardare orizzonti, in definitiva per vivere, è uno dei mali peggiori che ci possono capitare nella vita. La paralisi ci fa perdere il gusto di godere dell’incontro, dell’amicizia, il gusto di sognare insieme, di camminare con gli altri.
 
Ma nella vita c’è un’altra paralisi ancora più pericolosa e spesso difficile da identificare, e che ci costa molto riconoscere. Mi piace chiamarla la paralisi che nasce quando si confonde la FELICITÀ con un DIVANO / KANAPA! Sì, credere che per essere felici abbiamo bisogno di un buon divano. Un divano che ci aiuti a stare comodi, tranquilli, ben sicuri. Un divano, come quelli che ci sono adesso, moderni, con massaggi per dormire inclusi, che ci garantiscano ore di tranquillità per trasferirci nel mondo dei videogiochi e passare ore di fronte al computer. Un divano contro ogni tipo di dolore e timore. Un divano che ci faccia stare chiusi in casa senza affaticarci né preoccuparci. La “divano-felicità” / “kanapaszczęście” è probabilmente la paralisi silenziosa che ci può rovinare di più; perché a poco a poco, senza rendercene conto, ci troviamo addormentati, ci troviamo imbambolati e intontiti mentre altri – forse i più vivi, ma non i più buoni – decidono il futuro per noi. 
 
Sicuramente, per molti è più facile e vantaggioso avere dei giovani imbambolati e intontiti che confondono la felicità con un divano; per molti questo risulta più conveniente che avere giovani svegli, desiderosi di rispondere al sogno di Dio e a tutte le aspirazioni del cuore. Ma la verità è un’altra: cari giovani, non siamo venuti al mondo per “vegetare”, per passarcela comodamente, per fare della vita un divano che ci addormenti; al contrario, siamo venuti per un’altra cosa, per lasciare un’impronta.
 
E’ molto triste passare nella vita senza lasciare un’impronta. Ma quando scegliamo la comodità, confondendo felicità con consumare, allora il prezzo che paghiamo è molto ma molto caro: perdiamo la libertà. Proprio qui c’è una grande paralisi, quando cominciamo a pensare che felicità è sinonimo di comodità, che essere felice è camminare nella vita addormentato o narcotizzato, che l’unico modo di essere felice è stare come intontito. E’ certo che la droga fa male, ma ci sono molte altre droghe socialmente accettate che finiscono per renderci molto o comunque più schiavi. Le une e le altre ci spogliano del nostro bene più grande: la libertà.
 
Amici, Gesù è il Signore del rischio, del sempre “oltre”. Gesù non è il Signore del confort, della sicurezza e della comodità. Per seguire Gesù, bisogna avere una dose di coraggio, bisogna decidersi a cambiare il divano con un paio di scarpe che ti aiutino a camminare su strade mai sognate e nemmeno pensate, su strade che possono aprire nuovi orizzonti, capaci di contagiare gioia, quella gioia che nasce dall’amore di Dio, la gioia che lascia nel tuo cuore ogni gesto, ogni atteggiamento di misericordia. Andare per le strade seguendo la “pazzia” del nostro Dio che ci insegna a incontrarlo nell’affamato, nell’assetato, nel nudo, nel malato, nell’amico che è finito male, nel detenuto, nel profugo e nel migrante, nel vicino che è solo. Andare per le strade del nostro Dio che ci invita ad essere attori politici, persone che pensano, animatori sociali. Che ci stimola a pensare un’economia più solidale. In tutti gli ambiti in cui vi trovate, l’amore di Dio ci invita a portare la Buona Notizia, facendo della propria vita un dono a Lui e agli altri.
 
Potrete dirmi: Padre, ma questo non è per tutti, è solo per alcuni eletti! Sì, e questi eletti sono tutti quelli che sono disposti a condividere la loro vita con gli altri. Allo stesso modo in cui lo Spirito Santo trasformò il cuore dei discepoli nel giorno di Pentecoste, lo ha fatto anche con i nostri amici che hanno condiviso le loro testimonianze. Uso le tue parole, Miguel: tu ci dicevi che il giorno in cui nella “Facenda” ti hanno affidato la responsabilità di aiutare per il migliore funzionamento della casa, allora hai cominciato a capire che Dio chiedeva qualcosa da te. Così è cominciata la trasformazione.
 
Questo è il segreto, cari amici, che tutti siamo chiamati a sperimentare. Dio aspetta qualcosa da te, Dio vuole qualcosa da te, Dio aspetta te. Dio viene a rompere le nostre chiusure, viene ad aprire le porte delle nostre vite, delle nostre visioni, dei nostri sguardi. Dio viene ad aprire tutto ciò che ti chiude. Ti sta invitando a sognare, vuole farti vedere che il mondo con te può essere diverso. E’ così: se tu non ci metti il meglio di te, il mondo non sarà diverso.
 
Il tempo che oggi stiamo vivendo non ha bisogno di giovani-divano / młodzi kanapowi, ma di giovani con le scarpe, meglio ancora, con gli scarponcini calzati. Accetta solo giocatori titolari in campo, non c’è posto per riserve. Il mondo di oggi vi chiede di essere protagonisti della storia perché la vita è bella sempre che vogliamo viverla, sempre che vogliamo lasciare un’impronta. La storia oggi ci chiede di difendere la nostra dignità e non lasciare che siano altri a decidere il nostro futuro.
 
Il Signore, come a Pentecoste, vuole realizzare uno dei più grandi miracoli che possiamo sperimentare: far sì che le tue mani, le mie mani, le nostre mani si trasformino in segni di riconciliazione, di comunione, di creazione. Egli vuole le tue mani per continuare a costruire il mondo di oggi. Vuole costruirlo con te.
 
Mi dirai: Padre, ma io sono molto limitato, sono peccatore, cosa posso fare? Quando il Signore ci chiama non pensa a ciò che siamo, a ciò che eravamo, a ciò che abbiamo fatto o smesso di fare. Al contrario: nel momento in cui ci chiama, Egli sta guardando tutto quello che potremmo fare, tutto l’amore che siamo capaci di contagiare. Lui scommette sempre sul futuro, sul domani. Gesù ti proietta all’orizzonte. Per questo, amici, oggi Gesù ti invita, ti chiama a lasciare la tua impronta nella vita, un’impronta che segni la storia, che segni la tua storia e la storia di tanti. La vita di oggi ci dice che è molto facile fissare l’attenzione su quello che ci divide, su quello che ci separa. Vorrebbero farci credere che chiuderci è il miglior modo di proteggerci da ciò che ci fa male.
 
Oggi noi adulti abbiamo bisogno di voi, per insegnarci a convivere nella diversità, nel dialogo, nel condividere la multiculturalità non come una minaccia ma come un’opportunità: abbiate il coraggio di insegnarci che è più facile costruire ponti che innalzare muri! E tutti insieme chiediamo che esigiate da noi di percorrere le strade della fraternità. Costruire ponti: sapete qual è il primo ponte da costruire? Un ponte che possiamo realizzare qui e ora: stringerci la mano, darci la mano. Forza, fatelo adesso, qui, questo ponte primordiale, e datevi la mano. E’ il grande ponte fraterno, e possano imparare a farlo i grandi di questo mondo!… ma non per la fotografia, bensì per continuare a costruire ponti sempre più grandi. Che questo ponte umano sia seme di tanti altri; sarà un’impronta.
 
Oggi Gesù, che è la via, ti chiama a lasciare la tua impronta nella storia. Lui, che è la vita, ti invita a lasciare un’impronta che riempia di vita la tua storia e quella di tanti altri. Lui, che è la verità, ti invita a lasciare le strade della separazione, della divisione, del non-senso. Ci stai? Cosa rispondono le tue mani e il tuoi piedi al Signore, che è via, verità e vita?”
Papa Francesco, omelia durante la Veglia alla GMG di Cracovia.

alt(r)e vie

frassatiHo passato una settimana in montagna, a gestire un rifugio con degli amici dell’Operazione Mato Grosso.

Ci sono momenti in cui ti senti così pieno di vita, così stupefatto dall’umanità che sorridi soddisfatto.

Osservo il mondo con la solita curiosità, mi stupisco ogni volta. Quante persone camminano da sole – letteralmente; quante altre invece decidono di incontrarsi e condividere momenti di vita. Quanti chiudono porte sbattendo pugni, ma solo per nascondere la loro tenerezza. Quanti piccoli fratelli uguali a me, che cercano la perfezione nascondendosi dietro a frasi fatte… quanta perfida voglia di smascherarli, e quanto desiderio di prendermi pazientemente cura di loro, così come qualcuno si è preso cura di me…

Ogni giorno ho incontrato volti di sconosciuti segnati dalla fatica di un cammino di montagna. Chi glielo fa fare? E le volte che anche io mi sono trovata tra quei volti? C’è una gioia particolare nella sfida contro la fatica. La soddisfazione di farcela, la soddisfazione di aver vinto la bellezza.

buona strada…

 

Silenzi e pensieri notturni…

Signore Gesù, voglio essere per te
come quel barattolino di olio di nardo
che Maria riversò sui tuoi piedi.
Voglio essere come nardo per camminare con te,
amare con te le persone che incontriamo quotidianamente;
voglio essere strumento di rivelazione della tua presenza.
Dal mio profumo tutti devono sentire che tu sei qui.
Dal mio profumo tutti si devono accorgere
della tua presenza, del tuo amore.
Consumami tutto Signore; non lasciare che nessuna goccia
vada sprecata. Riversami dove tu vuoi;
fa’ che il mio agire, il mio diffondere la tua presenza
parta sempre da te e non avvicini amori fatui, amori leggeri.
Io come quell’olio e come Maria ho scelto la parte migliore
che non mi verrà tolta. Aiutami ad afferrarti Gesù.
Non permettere che la vita e i suoi buffi e strani andamenti
mi stacchino da te.
Ho trovato un tesoro, una perla preziosa; non posso sprecare
una così bella e grande occasione.

 

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