On ira

Voi siete la spiaggia e io sono la spuma del mare… voi siete l’orizzonte e noi il mare…

Diremo che gli incontri rendono più belli i viaggi,
vedremo che non meritiamo altro che ciò che condividiamo
sentiremo cantare musiche di altri luoghi
e sapremo donare ciò che abbiamo di meglio…

quanto amo questa canzone…. 🙂

 

On ira écouter Harlem au coin de Manhattan
On ira rougir le thé dans les souks à Amman
On ira nager dans le lit du fleuve Sénégal
Et on verra brûler Bombay sous un feu de Bengale

On ira gratter le ciel en dessous de Kyoto
On ira sentir Rio battre au cœur de Janeiro
On lèvera nos sur yeux sur le plafond de la chapelle Sixtine
Et on lèvera nos verres dans le café Pouchkine

Oh qu’elle est belle notre chance
Aux milles couleurs de l’être humain
Mélangées de nos différences
A la croisée des destins

Vous êtes les étoiles nous somme l’univers
Vous êtes en un grain de sable nous sommes le désert
Vous êtes mille phrases et moi je suis la plume
Oh oh oh oh oh oh oh

Vous êtes l’horizon et nous sommes la mer
Vous êtes les saisons et nous sommes la terre
Vous êtes le rivage et moi je suis l’écume
Oh oh oh oh oh oh oh

On dira que le poètes n’ont pas de drapeaux
On fera des jours de fête quand on a deux héros
On saura que les enfants sont les gardiens de l’âme
Et qu’il y a des reines autant qu’il y a de femmes

On dira que les rencontres font les plus beaux voyages
On verra qu’on ne mérite que ce qui se partage
On entendra chanter des musiques d’ailleurs
Et l’on saura donner ce que l’on a de meilleur

Oh qu’elle est belle notre chance
Aux milles couleurs de l’être humain
Mélangées de nos différences
A la croisée des destins

Vous êtes les étoiles nous somme l’univers
Vous êtes en un grain de sable nous sommes le désert
Vous êtes êtes mille phrases et moi je suis la plume
Oh oh oh oh oh oh oh

Vous êtes l’horizon et nous sommes la mer
Vous êtes les saisons et nous sommes la terre
Vous êtes le rivage et moi je suis l’écume
Oh oh oh oh oh oh oh

Vous êtes les étoiles nous somme l’univers
Vous êtes en un grain de sable nous sommes le désert
Vous êtes mille phrases et moi je suis la plume
Oh oh oh oh oh oh oh

Vous êtes l’horizon et nous sommes la mer
Vous êtes les saisons et nous sommes la terre
Vous êtes le rivage et moi je suis l’écume
Oh oh oh oh oh oh oh

decalogo del figlio

Sono giorni che penso alla bellezza di queste parole, dono di un’amica….

Perché “le cose belle si moltiplicano per con-divisione”

Vorrei nascere da due corpi uniti dall’incanto dell’amore, e non soltanto dalla incoscienza della passione.

Amo la differenza per essere un fiume che attinge a due sponde. Per unire in me due metà che si sono perse di vista.

Vorrei essere un dono e non un prodotto, una sorpresa e non un calcolo.

Non vorrei essere un diritto né un semplice privilegio, ma solo il frutto di un atto di infinita generosità.

Voglio nascere da una risposta e non da un capriccio, da una libertà responsabile e non da una necessità riparatrice.

Vorrei essere una persona con una propria dignità e non un oggetto con cui giocare per provare emozioni pronte a scaricarti.

Vorrei essere un desiderio e non un bisogno, una trascendenza e non un passaggio fugace al limite dell’estemporaneità.

Voglio esser figlio dell’attesa e non della pretesa.

Vorrei essere visto come un limite che vi fa incontrare e non un confine sui cui litigare.

Porterò la distanza necessaria a ritrovarvi, la fame che vi libererà da una sazietà satura.

Voglio essere un’eccedenza e non il prolungamento del vostro Io che vorrebbe vedere riflessa in me la propria immagine.

Vorrei venire per essere lasciato andare via, non per essere posseduto ma per essere conosciuto.

Vorrei portare l’eccedenza che scompiglia e l’orizzonte che non finisce.

Vorrei essere novità che stupisce e non che semplicemente incuriosisce.

Vorrei essere amato e non adorato, portare nella vostra sicurezza la mia fragile incompiutezza.

Vorrei essere un evento da ospitare e curare e non una soluzione che deve compensare.

Voglio essere una vita generata e non pianificata.

Vorrei venire in un corpo dove un seme ha fatto un lungo viaggio per trovare quel grembo in cui comincia il volto di chi mi ha voluto.

Vorrei dare forma alla pancia vuota di chi ha conosciuto la carezza di una mano che l’ha sfiorata.


(Michele Illiceto)

teatro

Nel piccolo salone della mia minuscola scuola venerdì abbiamo assistito a uno spettacolo teatrale. Uno spettacolo “vero”, non le minestrine scaldate per i ragazzi nei teatrini di provincia.

Per un’oretta circa mi sono sentita di nuovo in un mondo incantato, catapultata in una realtà che non è la mia, in una finzione vera sulla scena.

Nel salone-scantinato. Con i palloncini ancorati al soffitto in ricordo della festa del 30 gennaio.
Ho rivissuto le corse in macchina per raggiungere teatri milanesi, ho rivisto i luoghi deputati agli spettacoli a Lucca, al festival dei teatri del sacro. Dove gli spazi li curavamo noi, e li osservavamo mentre si trasformavano in scene immaginarie.
Anche venerdì è accaduto. Nel nostro salone-scantinato, che da luogo di gioco e di raduno prima che inizino le lezioni, per un’ora è stato teatro, sala, chiesa, strada, cortile, palco.

Ho ricordato che teatro è ovunque. E la cosa più bella, forse, è stato poterlo condividere con i miei alunni.

…c’è bellezza…. (nelle rovine, nella fatica, nell’uomo)

L’idea che una scena di battaglia cruenta possa essere bella – nel registro sublime, terrificante o tragico della bellezza – è un luogo comune, se riferita alle immagini di guerra create dagli artisti.
Ma questa idea non si addice alle immagini prodotte dalle macchine fotografiche: sembra crudele scoprire la bellezza nelle foto di guerra. Eppure, un paesaggio di devastazione resta pur sempre un paesaggio. C’è bellezza nelle rovine. Ma riconoscere la bellezza nelle fotografie delle rovine del World Trade Center nei mesi successivi all’attentato sembrava frivolo, sacrilego. Tutt’al più ci si arrischiava a dire che quelle foto sembravano “surreali”, ricorrendo a un affannoso eufemismo dietro il quale trovava riparo la screditata idea della bellezza. Molte di esse, però, erano davvero belle – ad esempio, quelle realizzate da veterani come Gilles Peress, Susan Meiselas e Joel Meyerowitz. Il luogo in sé, il cimitero di massa battezzato “Ground Zero” era ovviamente tutt’altro che bello. Le fotografia tendono a trasformare, quale che sia il loro soggetto; e sotto forma di immagine una cosa può apparire bella – o terrificante, insopportabile o tollerabile – come non è nella vita reale.
L’arte trasforma per definizione, ma le fotografie che documentano eventi disastrosi e deprecabili vengono aspramente criticate se appaiono “estetiche”; vale a dire, troppo simile all’arte. Il duplice potere che ha la fotografia – di produrre documenti e di creare opere d’arte – ha dato origine a una serie di affermazioni estremistiche su ciò che i fotografi dovrebbero o non dovrebbero fare. Negli ultimi tempi, la più diffusa è quella che contrappone questi suoi due poteri. Le fotografie che raffigurano la sofferenza non dovrebbero essere belle, così come le didascalie non dovrebbero essere moraleggianti. In quest’ottica, infatti, una bella fotografia sposta l’attenzione dalla gravità del soggetto rappresentato al medium in sé, compromettendo così il carattere documentario dell’immagine. Una fotografia del genere invia segnali contraddittori. “Fermate tutto ciò” ingunge. Ma al tempo stesso esclama: “Che spettacolo!”.

Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri, Mondadori, Milano 2003, p. 75.

Primavera

Oggi ho toccato un’umanità intera camminando, guardando, parlando.

“…vedere la bellezza presente nel mondo”..
“scusa, cosa intendi?”

Non è ovvio per tutti, vero?
La bellezza del caos del traffico, la bellezza di un albero con un buco alla base come nei disegni dei bambini, la bellezza del glicine profumato, la bellezza di una stretta di mano.

Ogni cosa illuminata dal sole e vista come per la prima volta è bella.
Semplicemente perché esiste, ed è lì   p e r   m e .

Io ho incontrato il mondo, perché il mondo è qui per me.

Occhi nuovi

Aspetto e guardo.

Ammiro estasiata cose che occhi attenti scelgono.

Ci sono mani che sanno creare cose belle, ci sono menti che sanno pensarle, ci sono cuori che vogliono condividerle.

E poi ci sono occhi che sanno scegliere la Bellezza, discernerla in un mare di immagini, suoni, colori…

E io sto qui. Aspetto.

Aspetto per guardare che cosa questi occhi sanno scegliere anche per me. E’ un po’ come affidarsi. Meraviglioso.

Lei passa


L’occhio guarda, per questo è fondamentale.
È l’unico che può
accorgersi della bellezza…. la bellezza può passare per le più strane
vie, anche quelle non codificate dal senso comune.
E dunque la bellezza
si vede perché è viva e quindi reale.

Diciamo meglio che può capitare
di vederla.
Dipende da dove si svela…Il problema è avere occhi e non
saper vedere, non guardare le cose che accadono, nemmeno l’ordito
minimo della realtà.

Occhi chiusi. Occhi che non vedono più. Che non
sono più curiosi. Che non si aspettano che accada più niente.
Forse
perché non credono che la bellezza esista.
Ma sul deserto delle nostre
strade Lei passa, rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi
di infinito desiderio.


Pier Paolo Pasolini