“Non esistono parole pure e semplici”. Il dialogo, o meglio “metadialogo” di Gregory Bateson che ha ispirato Paul Watzlawick e gli altri autori della Pragmatica della comunicazione umana è perentorio: a cominciare dalla conversazione verbale, lo scambio comunicazionale non è riducibile ai contenuti veicolati: e questo, non solo perché i segni in quanto tali implicano contenuti ulteriori di complessa decifrazione (come vuole la semiotica fin dall’individuazione da parte di Roland Barthes del doppio livello della connotazione e della denotazione), ma anche e soprattutto perché l’attività comunicativa trascende le informazioni trasmesse, mettendo in gioco le relazioni affettive. Continua Bateson:
A volte, se i due interlocutori hanno voglia di ascoltare con attenzione, è possibile far qualcosa di più che non scambiarsi saluti e auguri. Si può addirittura far di più che scambiarsi informazioni: i due possono persino scoprire qualcosa che nessuno dei due prima sapeva… Dopo tutto, che cosa succede se non viene loro in mente niente da dirsi? Si sentono tutti a disagio.
In altri termini, e per arrivare alla celebre formulazione della Pragmatica, tra esseri umani “non si può non comunicare”.
Peppino Ortoleva, Il secolo dei media. Riti, abitudini, mitologie, Il Saggiatore, Milano 2009, p. 236.
Grandi banalità forse per qualcuno.Dovrebbero però prenderne un po’ coscienza tutti. “L’attività comunicativa trascende le informazioni trasmesse”. Una parolaccia non significa quello che la parola in sé comunica con il suo livello denotativo. “Cazzo!” non è un termine medico indicante una parte del corpo maschile. Porta con sé un livello connotativo chiaro a tutti i parlanti che entrano in una relazione comunicativa.
Sarebbe bello e intelligente non fare finta di non saperlo.