Breve storia di come non ho mai fumato

Mi sembra quasi strano essere diventata grande senza aver mai provato a fumare una sigaretta. Quasi me ne vergogno, come se fossi una puritana che ha paura di chissà cosa.

Di fatto la curiosità di provare c’è stata, appena dopo l’adolescenza, quando finalmente imparavo a stare un po’ al mondo da sola. Prima non ne avevo mai né sentito il bisogno, né ero stata in compagnia con qualcuno che fumasse, quindi in realtà semplicemente non ce ne era mai stata occasione.

Poi la curiosità arrivò. E la nostra coinquilina, che invece aveva tranquillamente provato, promise di portare le sigarette di sua madre, che ormai non fumava più, perché molto malata.

Non fece in tempo, semplicemente.

Una mattina squillò il nostro telefono – il mio, per l’esattezza, perché il suo era spento – e ci avvisarono che sua mamma non c’era più.

Cambiò tutto, e non cambiò nulla. La sua vita si rivoluzionò, la nostra ebbe uno scossone, poi tornò alla normalità.

L’unica cosa che è rimasta è il sapore mai conosciuto di quelle sigarette. Svanite, sconfitte da una realtà più dura, più importante. Ogni volta che mi è stata offerta, o mi è stato chiesto se fumassi, ogni singola volta, mi è tornata in mente la telefonata di quella mattina, in un insieme di ricordi che la mia testa ha cucito insieme in modo arbitrario.

Non è un giudizio, non è la paura che il fumare porti alla stessa fine di quella donna, è semplicemente un ricordo, una malinconia, un’emozione. La morte che serve a rimettere a posto le cose importanti della vita, che sconfigge la superficialità. Si riprende il proprio spazio e mi impone una pausa, un momento di respiro, per ricominciare a vivere con maggiore consapevolezza. E questa consapevolezza di pienezza di vita vince ogni volta su qualsiasi desiderio, su ogni offerta. Ogni volta mi fermo. E ricordo.

Chi sono io?

Chi sono io?

Chi sono io? Spesso mi dicono
che esco dalla mia cella
disteso, lieto e risoluto
come un signore dal suo castello.

Chi sono io? Spesso mi dicono
che parlo alle guardie
con libertà, affabilità e chiarezza
come spettasse a me di comandare.

Chi sono io? Anche mi dicono
che sopporto i giorni del dolore
imperturbabile, sorridente e fiero
come chi è avvezzo alla vittoria.

Sono io veramente ciò che gli altri dicono di me?
O sono soltanto quale io mi conosco?
Inquieto, pieno di nostalgia, malato come uccello in gabbia,
bramoso di aria come mi strangolassero alla gola,
affamato di colori, di fiori, di voci d’uccelli,
assetato di parole buone, di presenza umana,
tremante di collera davanti all’arbitrio e all’offesa più meschina,
agitato per l’attesa di grandi cose,
preoccupato e impotente per l’amico infinitamente lontano,
stanco e vuoto nel pregare, nel pensare, nel creare,
spossato e pronto a prendere congedo da ogni cosa?

Chi sono io?
Oggi sono uno, domani un altro?
Sono tutt’e due insieme? Davanti agli uomini un simulatore
e davanti a me uno spregevole vigliacco?
Chi sono io? Questo porre domande da soli è derisione.
Chiunque io sia, tu mi conosci, o Dio, io sono tuo!

 

Dietrich Bonhoeffer, RESISTENZA E RESA, Lettere e scritti dal carcere

Bonhoeffer scrisse questi versi nel carcere di Tegel, a Berlino, dove fu rinchiuso per motivi politici. Morì impiccato nel campo di concentramento di Flossenbürg nel 1945.

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Basta poco per chiedersi quale sia il bene dell’altro e di sé stessi… la totale sincerità? o l’accettazione della propria e altrui fragilità, il prendersi cura amorevolmente, farsi carico delle debolezze fino a quando queste proromperanno da sé?

In fondo, qui l’unico che trova salvezza è l’unico che si nasconde e che trova alla fine la forza di svelarsi.

La realtà non smetterà certo di interrogare gli altri personaggi. Come affrontarla?

 

Mi piace questo film. Mi piace perché provoca: fa domande, suscita risposte, insinua dubbi. E lo fa con apparente leggerezza.

 

l’essenziale è invisibile agli occhi…

Non sappiamo prevedere l’essenziale. Ognuno ha conosciuto le gioie più calde là dove nulla pareva prometterle.

Esse lasciano una tale nostalgia da far rimpiangere le disgrazie, se sono state le disgrazie a renderle possibili.

Che cosa sappiamo, se non che esistono condizioni sconosciute che ci fecondano? Dove sta di casa la verità dell’uomo?

 

 

Antoine de Saint-Exupéry, Terra degli uomini, Garzanti, Milano 1974, p. 166

dubbi

A volte continui a chiederti “perché?” anche quando le cose vanno come avresti sperato tu. L’incertezza rimane, la gioia ha un fondo come di sabbia fine che disturba.
Caso mai il tuo cervello non si ricordasse che è sempre tutto più difficile di come sembra, ci pensa il cuore a instillare il dubbio.

domande

“I don’t know what I am doing with my life”

Io a diciassette anni sapevo benissimo cosa stavo facendo della mia vita. O probabilmente vivevo senza pormi nessun problema, inconsapevole. O è anche probabile che il tempo abbia ridimensionato molti problemi adolescenziali. So che mi chiedevo tante cose, stimolata da mille domande che la vita mi poneva davanti. Malattie, persone, storia, filosofie, scoperte scientifiche (beh, dati di fatto della scienza, ma per me scoperte). Tante domande, ma mai mi sono chiesta cosa stessi facendo della mia vita. Vivevo. Credo che in fondo mi bastasse.

E’ una domanda che è arrivata molto dopo. Forse solo molto tardi ho avuto modo di “scegliere” cosa fare della mia vita.

Perciò ora osservo con curiosità ragazze diciassettenni che si pongono domande simili. Anche con ammirazione, perché è una domanda di ricerca di senso che merita rispetto. Solo che mi chiedo se queste ragazze non stiano buttando all’aria la loro vita, alla ricerca di qualcosa che sembri sempre nuovo. Qualcosa da scegliere, sempre. In modo da non trovare però mai pace.

Forse sognano un po’ di pace, perché il fuoco che hanno dentro è uno scoppio incontrollato, non una fiamma viva.

 

domande

Fa abbastanza impressione vedere come ci siano persone che senza nessun apparente motivo abbiano stima di quello che sei e di quello che fai.

O ti vogliano bene.

Tu hai stima di te? Ti vuoi bene?

No, perché o gli altri sono completamente folli (e sì, ok, è vero, di pazzi in giro ce ne sono), o forse qualcosa non quadra se chi ti conosce da così poco ti mostra tutto ciò, e tu invece ti conosci da una vita e continui a pensare di valere sempre quel tocchettino sotto quanto vorresti…

Vita

Risuona una frase nella mia testa… riguardava “una vita degna di essere vissuta”.
Una vita vissuta solo se dignitosa.

E non capisco. Ma la vita non è sempre degna di essere vissuta?
Per qualcuno no.

Eppure vedo Nick Vujicic, senza gambe e senza braccia, e continuo a chiedermi: esiste una vita non degna?
“Ma tu sai quanta sofferenza c’è?”
Io no. Perché, tu sì?