dubbi

A volte continui a chiederti “perché?” anche quando le cose vanno come avresti sperato tu. L’incertezza rimane, la gioia ha un fondo come di sabbia fine che disturba.
Caso mai il tuo cervello non si ricordasse che è sempre tutto più difficile di come sembra, ci pensa il cuore a instillare il dubbio.

Risposte e domande

Oggi ho chiesto al ragazzino che seguo cosa volesse dire il titolo del capitolo che stiamo affrontando. La civiltà islamica. Mi ha risposto che parla dell’Islamia. Il famoso stato dell’Islamia.

Lui non ha idea di cosa sia l’Islam, ha le idee molto confuse su Maometto, Allah, e quant’altro.

Però sa molto bene che venerdì l’Isis ha fatto degli attentati a Parigi.

Io vorrei sapere da tutti quelli che hanno le risposte in tasca, che sanno come salvare il mondo, che hanno capito cosa bisogna fare, che sanno se la Fallaci aveva ragione o torto, che vogliono eliminare l’Isis, che vogliono distinguere tra bene e male, buoni e cattivi, come io dovrei affrontare l’argomento. Se devo affrontarlo. Che senso ha affrontarlo, e che senso ha affrontare il programma di storia.

Questo vorrei sapere. Invece continuo a vedere foto profilo blu bianche e rosse. Ma il mondo resta lo stesso.

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La vita non si fa grossi scrupoli a distoglierti dai tuoi problemi.
Ti piazza davanti macigni che sembrano insormontabili. E tu sei lì che ti scuoti dal torpore, scrolli le spalle per mandar via gli ultimi sbuffi della tua lamentela, e cerchi una soluzione per aiutare qualcun altro.

La soluzione è sempre “donati”. Poi il problema è capire come.

domande

“I don’t know what I am doing with my life”

Io a diciassette anni sapevo benissimo cosa stavo facendo della mia vita. O probabilmente vivevo senza pormi nessun problema, inconsapevole. O è anche probabile che il tempo abbia ridimensionato molti problemi adolescenziali. So che mi chiedevo tante cose, stimolata da mille domande che la vita mi poneva davanti. Malattie, persone, storia, filosofie, scoperte scientifiche (beh, dati di fatto della scienza, ma per me scoperte). Tante domande, ma mai mi sono chiesta cosa stessi facendo della mia vita. Vivevo. Credo che in fondo mi bastasse.

E’ una domanda che è arrivata molto dopo. Forse solo molto tardi ho avuto modo di “scegliere” cosa fare della mia vita.

Perciò ora osservo con curiosità ragazze diciassettenni che si pongono domande simili. Anche con ammirazione, perché è una domanda di ricerca di senso che merita rispetto. Solo che mi chiedo se queste ragazze non stiano buttando all’aria la loro vita, alla ricerca di qualcosa che sembri sempre nuovo. Qualcosa da scegliere, sempre. In modo da non trovare però mai pace.

Forse sognano un po’ di pace, perché il fuoco che hanno dentro è uno scoppio incontrollato, non una fiamma viva.

 

Sogno In Due Tempi

 

Non si capisce perché quasi sempre i sogni, proprio nel momento in cui, come specchi fedeli dell’anima, stanno per svelare al soggetto i suoi intendimenti nascosti, si interrompono.
Ero lì, in una specie di zattera, un naufragio chi lo sa, insomma sono lì su un relitto di un metro per un metro e mezzo circa, e stranamente tranquillo in mezzo all’oceano,

galleggio.
Cosa vorrà dire?

Va bè, vedremo poi. A dir la verità avevo già sognato di essere su una zattera con una dozzina di donne stupende… nude. Ma lì il significato mi sembra chiaro.

Ora sono qui da solo, ho il mio giusto spazio vitale, mi sono organizzato bene, il pesce non manca, ho una discreta riserva d’acqua, i servizi, è come averli in camera.

Ho anche un grosso bastone, che mi serve da remo.
Non è un sogno angoscioso, ma cosa vorrà dire?

Fuga, ritiro, solitudine, probabilmente desiderio di sfuggire la vita esterna che ci preme da ogni parte.

Si diventa filosofi, nei sogni.
Oddio, oddio cosa vedo,

fine della filosofia.

No, non può essere una testa.

Forse una boa.

Non so per cosa fare il tifo.

La boa fa meno compagnia, ma è più rassicurante.
No, no… si muove, si muove.

Mi sembra, mi sembra di vedere degli spruzzi. Non è possibile che sia un pesce.

E’ qualcosa che annaspa, sprofonda, riappare, lotta disperatamente con le onde.
E’ un uomo, è un uomo, è un uomo,

è un uomo,

è un uomo

è un uomo!
E ora che faccio.

La zattera è un monoposto, ne sono sicuro.

Per il pesce non ci sarebbe problema, ma la zattera in due non credo che tenga.

“Non tieneee” , macché, non mi sente.
Sarà a cento metri. Che faccio? Ma come che faccio, sono sempre stato per la fratellanza, per l’accoglienza per l’ospitalità, eh. Ho lottato tutta la vita per questi principi.

Sì, ma non mi ero mai trovato… ma quali principi?

Questa è la fine, qui in due non la scampiamo. E lui avanza verso di me, fende le onde. Sarà a settanta metri, cinquanta, trenta,

madonna come fende.
Quasi quasi gli preparo un dentice.

E se non gli piace il pesce? Se gli piace solo la carne? Umana.?

No calma calma, io devo pensare a me, alla mia sopravvivenza: mors tua vita mea. Oddio… non dovrò mica ucciderlo?
Ma no, cosa dico, sto delirando! Lo devo salvare. Poi in qualche modo ci arrangeremo, fraternamente, ci sentiremo vicini! Per forza, non c’è spazio qui, stretti uniti, corpo a corpo…
Guarda come nuota… E’ una bestia! Ma io lo denuncio, ormai sarà già dieci metri. Mi fa dei gesti, mi saluta… mi sorride, lo schifoso. Ma no, poveretto cosa dico, per lui sono la salvezza, la vita eh. Che faccio che faccio?

Potrei… potrei prendere il bastone, potrei allungarglielo per aiutarlo a salire…

potrei darglielo con violenza sulla testa. Siamo al gran finale del dramma. Il dubbio mi divora, l’interrogativo morale mi corrode, devo decidere. L’uomo è a cinque metri, quattro, tre… Prendo il bastone e…

 

 

 

 

 

 

 

 

 
E a questo punto mi sono svegliato. Maledizione! Non saprò mai se nel mio intimo prevale il senso umanitario dell’accoglienza, o la grande paura della minaccia.

Devo saperlo, devo saperlo, non posso restare in questo dubbio morale, devo sapere come finisce questo sogno!
Cerco di riaddormentarmi, mi concentro, voglio dire, mi abbandono.

Qualche volta funziona.

 

Ecco sì, sì ce l’ho fatta, l’acqua, l’oceano, le onde…giusto.

Un uomo su una zattera…giusto.

Un altro che nuota arranca, annaspa disperato, sento il cuore che mi scoppia.

 

Oddio, che succede? Sono io,

sono io quello che nuota.

No, io ero quell’altro eh, non è giusto, non è giusto, a me piaceva di più stare sulla zattera.

Ma quale dubbio morale, ho le idee chiarissime. Sono per l’accoglienza!
Ecco, un ultimo sforzo, la zattera è a cinque metri, quattro, tre… Alzo la testa verso il mio salvatore… eccomi!

PUMMM!

Dio che botta.

 
A questo punto, mi sono svegliato di nuovo.

Mi basta così eh, non voglio sapere altro. Spero solo che non sia un sogno ricorrente.
Però una cosa l’ho capita.

No, non che se uno chiede aiuto gli arriva una legnata sui denti.

Questo lo sapevo già.

Ho capito quanto sia pieno di insidie, il termine aiutare.

 

C’é così tanta falsa coscienza, se non addirittura esibizione, nel volere a tutti i costi aiutare gli altri, che se per caso mi capitasse, di fare del bene a qualcuno, mi sentirei più pulito se potessi dire: “Non l’ho fatto apposta”.
Forse solo così tra la parola aiutare e la parola vivere, non ci sarebbe più nessuna differenza.

…dubbi…

Odilon Redon “Béatrice”, 1897

“L’arte non è la verità: l’arte è una menzogna che ci permette di riconoscere la verità”.
(David Shields, Fame di realtà )

Non è che ne sia troppo sicura.
D’altra parte ci sono parecchie cose di cui non sono sicura. Di me, di altri, di fatti, di tutto. Un sacco di “vorrei”, di immagini perdute, di sogni, di sentimenti, di messaggi. E non riesco a riconoscerne la verità.